VIZI E ABUSI DEL PASSATO GENERANO FORTE INCERTEZZA PER IL FUTURO
Nel 2021 cambiano i coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione introducendo un’ulteriore penalizzazione per i futuri pensionati. Una penalizzazione di circa 136 € lorde all’anno per un pensionando di 67 anni che andrà in pensione a gennaio, con un assegno pari a 4 volte il minimo, rispetto a chi con la stessa età vi è andato a dicembre 2020. L’attuale meccanismo è penalizzante per i lavoratori e disincentiva la permanenza al lavoro, in netta contrapposizione con il principio alla base del sistema contributivo. Il sindacato propone di rivedere il sistema assegnando i coefficienti per coorti di età. Dal primo gennaio 2021 gli attuali criteri di calcolo delle prestazioni previdenziali ed il relativo meccanismo di individuazione dei coefficienti di trasformazione aggiornati ogni due anni, comportano, da un lato, una penalizzazione generalizzata per i lavoratori che accedono alla pensione dopo l’aggiornamento e, dall’altro, costituiscono un disincentivo alla permanenza al lavoro. Rimandando, infatti, l’accesso alla pensione si incorre nel pericolo di vedere il proprio montante contributivo calcolato con coefficienti più sfavorevoli. Proponiamo inoltre di legare i coefficienti per coorti di età. Sulla falsariga del modello svedese, si può operare assegnando a ciascuna coorte di età pensionabile il proprio coefficiente, eventualmente anche di tipo forward looking e quindi previsionale.
L’analisi della UILM sull’introduzione delle modifiche al sistema pensionistico del Paese, ci fanno formulare un giudizio negativo in quanto quota 100, ha prodotto ben poco per le aspettative e le necessità della nazione. Basti avere riscontro sul fatto che un lavoratore giovane e con un lavoro stabile a 20 anni di età uscirebbe con l’attuale sistema pensionistico, a circa 63 anni.
Inoltre, il Tasso c.d. di sostituzione, che null’altro è che il differenziale in rapporto tra il primo rateo pensionistico e l’ultimo reddito percepito traccia un dato storico negativo ed inequivocabile, poiché sempre soggetto a drastici ridimensionamenti e generando forte incertezza. Dalla riforma Dini (1995) si ha riscontro di un tasso di sostituzione dell’80% e un’aliquota di rendimento prossima al 2% con un battente al traguardo della pensione pari a 40 anni. Nel Gennaio del 1996 il sistema subì l’introduzione del sistema contributivo, oggi in vigore per la stragrande maggioranza dei lavoratori, il quale si regge su un mix di tre fattori: 1. Entità dei contributi effettivamente versati, 2. andamento del PIL, 3. età del ritiro effettivo dal lavoro. Sarà necessario adoperarci con tutte le nostre forze per un sistema pensionistico più equo e migliore, che sappia traguardare la reale aspettativa dei singoli comparti di lavoro, perché i lavori non sono tutti uguali e, magari, in stretta correlazione con i dati acquisiti dall’INAIL che ben differenzino in funzione degli infortuni, malattie professionali e decessi di un settore piuttosto che un altro. Inoltre, il secondo pilastro della previdenza, ovvero la previdenza complementare di categoria, varia in larga parte la sua funzione, poiché, attese le migliaia di richieste di anticipazione TFR, sta sopperendo al perdurare delle crisi aziendali e alla relativa, letterale mattanza delle retribuzioni per il massiccio e protratto ricorso a CIG derivante dalle crisi industriali e dalla feroce pandemia in atto, nondimeno della perdita del potere di acquisto dei lavoratori.