ARCELORMITTAL: CORI DI INDIGNAZIONE E PROTESTA DEI LAVORATORI

ECCO I PRIMI EFFETTI DI UN PIANO INDUSTRIALE CHE VA RESPINTO E CHE TALE NON E’

Così come avevamo annunciato sarebbe accaduto, volge al termine una settimana densa di eventi e fatti.
Partendo dalla videoconferenza del 9 giugno con i Ministri dello Sviluppo Economico, del Lavoro ed Economia e Finanze, concomitante con lo sciopero indetto per lo stesso giorno, ed al presidio organizzato davanti la direzione dell’ex Ilva, tutto può essere riassunto con un una linea di confine che solca distanze siderali tra la UILM ed il piano industriale annunciato dalla multinazionale.

Non abbiamo lesinato a definire il tutto una vera e propria provocazione da parte di ArcelorMittal, attraverso un fantomatico strumento chiamato “piano industriale”, funzionale piuttosto che al rilancio della fabbrica ed il compimen- to dell’opera di messa in sicurezza, per il definitivo affossamento della stessa.

Un “pacchetto”, che per quanto ci riguarda andava immediatamente rispedito al mittente, come anche l’accordo del 4 di marzo tra commissari straordinari e ArcelorMittal, e lo abbiamo fatto con tutta la determinazione possibile, forti del mandato dei lavoratori i quali hanno gridato per tutta la durata del presidio la rabbia per una condotta sempre più prossima alla prepotenza.

Un vero e proprio sfregio alla Comunità tarantina, ai lavoratori ed al sistema industriale di questo Paese, con cui la multinazionale tenta di sferrare il colpo al cuore al progetto di ambientalizzazione della fabbrica e della tenuta occupazionale di un territorio letteralmente martoriato per quanto attiene questi due aspetti.

E’ un piano ritenuto inaccettabile, inadeguato, insoddisfacente e irrealizzabile dai ministri Gualtieri, Patuanelli e Catalfo e dai commissari straordinari dell’ex Ilva, frutto del delirio che avrebbe come riflesso 5000 licenziamenti, perché così bisogna chiamarli, uniti ad una sfacciata richiesta economica senza alcun velo di pudore, prossima ai 2 miliardi di euro.

Uno strumento per guadagnare tempo, per arrivare a fine anno quando con soli 500 milioni di euro potranno andarsene e lasciarci le macerie. Il Governo ne prenda atto e metta in campo ogni soluzione a sua disposizione per tutelare tutti i lavoratori, diretti e dell’indotto, e il risanamento ambientale. ArcelorMittal non è un gruppo credibile e non può essergli permesso di annientare la siderurgia italiana.

L’ incontro di giorno 9 giugno è stato inconcludente ed insoddisfacente e non ha dato nessuna risposta ai lavoratori che si trovano in condizioni di disperazione e ai migliaia in cassa integrazione a 900 euro al mese. Al termine dell’incontro non c’è stata nessuna determinazione da parte del Governo su quali saranno i prossimi passi da compiere.
Nell’incontro che si terrà la prossima settimana il Governo ci dovrà spiegare come intende rilanciare l’ex Ilva e il settore siderurgico italiano, attraverso la definizione di un piano serio e verificabile che garantisca l’ambiente e l’occupazione.

Non c’è più tempo da perdere.

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